I racconti tramandati di generazione in generazione.
Miti e leggende che narrano la nascita delle identità di Sciacca allo scopo di tenere forti i legami di questa comunità
Sciacca fu teatro di una sanguinaria lotta tra famiglie, i Luna e i Perollo, che coinvolse anche l’imperatore Carlo V e il Papa Clemente VII.
L’odio tra le due famiglie venne generato da re Martino I quando decise di dare in sposa ad Artale Luna, Margherita Peralta innamorata però del giovane Giovanni Perollo. Fu, però, con re Alfonso V d’Aragona che si infiammarono gli animi delle due famiglie. Il re infatti aveva concesso la Baronia di San Bartolomeo ad Antonio Luna, figlio di Artale.
Fondo baronale che apparteneva a Pietro Perollo, erede di Giovanni. Per l’affronto ricevuto Pietro giurò che avrebbe ucciso Antonio. L’occasione l’ebbe durante la processione della Sacra Spina. Quando la processione passò davanti al Castello dei Perollo, Luna con i suoi seguaci decise di deridere gli occupanti del castello. A quel punto Pietro attorniato dai suoi seguaci decise di attaccare con l’impeto di ucciderli, riuscì a raggiungere Antonio, lo scaraventò a terra e con un pugnale lo colpì dappertutto tanto che vedendolo privo di sensi si convinse che era morto. Consapevole di ciò che aveva fatto, prese la famiglia e i suoi beni e si rifugiò a Partanna.
In serata i seguaci del Luna recuperarono il corpo del conte Luna che nonostante tutto era ancora vivo. Rimessosi in forze il conte tramava la vendetta. Nel frattempo il re Alfonso venuto a sapere di quanto accaduto confiscò i beni ad entrambe le famiglie e li volle fuori dal Regno di Sicilia. Passarono gli anni e prima di morire re Alfonso concesse alle due famiglie di ritornare ma con la promessa solenne di vivere in armonia. Vissero serenamente fin quando, durante l’impero di Carlo V, il corsaro Sericono Bassà fece prigioniero il barone Solanto chiedendo un riscatto. Sigismondo Luna si fece subito avanti per liberare il barone, ma al corsaro non piacque quello che Luna aveva da offrire. Il barone venne liberato da Giacomo Perollo pagando un riscatto molto più sostanzioso e che ovviamente fu gradito dal Bassà.
Questa vicenda riaccese gli animi finora assopiti. La popolarità del Perollo fece imbestialire il conte Luna il quale preparò un esercito di un migliaio di uomini per assediare il castello del rivale. Trucidò tutti i difensori, Giacomo Perollo riuscì a fuggire attraverso un passaggio segreto e a nascondersi in casa di un suo fedele, nascondiglio che fu rivelato da un traditore. Il Perollo venne preso dagli uomini del conte Luna legato con le catene e ucciso dagli stessi. Invaso dall’ira Sigismondo legò per i piedi il corpo esanime del suo nemico e lo trascinò per le strade di Sciacca. Successivamente il Luna veniva condannato a morte ed i suoi beni confiscati. Riuscì a fuggire a Roma, ponendosi sotto la protezione di papa Clemente VII. Il papa chiese, non ottenendola, la grazia all’imperatore Carlo V. Il conte si suicidò gettandosi nel Tevere.
Seconda stella a destra, questo è il cammino e poi dritto fino al mattino per arrivare a Sciacca. Già perchè l’isola che non c’è era proprio a largo delle coste saccensi.
Nell’estate del 1831 scosse di terremoto ed emanazione di acido solforico ne annunciarono l’apparizione. I pescatori dell’epoca scambiarono questo fenomeno come l’emersione di un mostro marino. Il 16 luglio emergeva un’isola con una circonferenza di circa 4 chilometri con un vulcano che eruttava lapilli e cenere.
L’isola era appena nata e già tre potenze straniere se ne litigavano il possesso l’Inghilterra, la Francia, i Borboni. Ma l’8 dicembre dello stesso anno, così come era emersa, si inabissò velocemente non lasciando alcuna traccia di essa in superficie.
Lo ha ricordato Enrico Brignano, nella trasmissione “Un’ora sola ti vorrei”, che quest’isola ispirò alla fine dell’ottocento Sir James Mathew Barrie autore del libro Peter Pan e della sua fantastica “isola che non c’è”. Di essa ne parla anche Camilleri nel suo libro “Un filo di fumo e Jules Verne nel suo “Le mirabolanti avventure di mastro Antifer”.
L’isola probabilmente sprofondò perchè stanca delle continue lotte tra le potenze per rivendicarne il possesso, una volta inabissata i saccensi apposero sulla cima dell’isola una targa che recita così:
Per il popolo saccense è la regina per antonomasia tanto che lo scoglio di Sant’Elmo si chiama anche Rocca Regina proprio perchè da quello scoglio, che si trova di fronte al porto, parte la storia di Giulietta Normanna.
Giulietta, figlia del gran conte Ruggero, si era innamorata del cugino Roberto di Basseville.
Un amore corrisposto che però non ottenne subito l’approvazione di Ruggero. I due allora fecero una delle prima “fuitine” dell’epoca. Si rifugiarono proprio in cima alla Rocca e chiesero ad un frate eremita, Mauro, di intercedere per loro con il conte Ruggero.
Grazie all’aiuto di fra Mauro i due vennero perdonati dal padre di lei la quale ottenne la città di Sciacca con tutto il suo vasto territorio che andava dal fiume Belice al fiume Platani. Con Giulietta, Sciacca ebbe una nuova rinascita e visse un periodo di forte splendore tanto che molte famiglie del nord si trasferirono in città costruendo quelle meravigliose opere monumentali che ancora oggi si possono apprezzare a Sciacca.
Ecco perchè Giulietta è nel cuore dei saccensi, a lei si devono tutte le bellezze che Sciacca può raccontare al mondo.
Si narra che l’attuale statua marmorea della Madonna del Soccorso che viene portata in processione sia stata ritrovata in mare dai pescatori.
Questo spiegherebbe perché è dato proprio ai pescatori la responsabilità e il privilegio di portarla in spalla lungo le strade che tracciano il percorso della processione. Come mai Sciacca è così devota alla sua Patrona? La leggenda vuole che nel 1626 la Sicilia e dunque anche Sciacca era dilaniata dalla peste. La situazione era disperata, tanto che alcuni rappresentanti del clero e del popolo decisero di portare in processione la statua giurando solennemente di averla onorata ogni anno. IL 2 febbraio del 1626 i marinai misero in spalla il simulacro e lo portarono in giro per le strade del paese. Il cielo era azzurro e sereno, ma giunti alla “chiazza”, l’attuale via licata, dal cielo cadde un fulmine che colpì la statua da sotto la statua si sprigionò del fumo, il miracolo era compiuto, la peste era stata debellata. Ogni anno il 2 di febbraio si celebra questa ricorrenza, la madonna viene portata ancora oggi in spalla dai marinai che sono protagonisti di questa festa. Oltre al 2 febbraio la processione si rinnova il 15 agosto per festeggiare la Patrona della città di Sciacca.
Quello che leggerete è il racconto della vera essenza dello spirito siciliano e spiega anche il forte legame che si venne a creare tra la Francia e Sciacca.
Era il 21 dicembre 1923 e nel cielo di Sciacca imperversava un terribile temporale.
Tre giorni prima, intanto, era partito, alle 6:00 del mattino, il dirigibile Dixmude dalla sua base a Cuers-Pierrefeu per un volo senza sosta fino al deserto del Sahara con a bordo quaranta membri dell’equipaggio e dieci ospiti. Raggiunse la meta con grande successo, ma non fece più ritorno in Francia. Il 21 dicembre mentre sorvolava il mediterraneo e giunto quasi sui cieli di Sciacca il temporale fece vacillare l’aeronave.
Alle 2:30 della notte una luce intensa illuminò il cielo di Sciacca. Probabilmente un fulmine colpì il Dixmude e l’intero equipaggio precipitò a pochi metri dalle coste di Sciacca. Subito da Sciacca partirono gli aiuti guidati dal parroco della chiesa delle Giummare, Don Michele Arena, ma ci si rese subito conto che per tutti gli occupanti del dirigibile non c’ era più niente da fare.
Il capitano del Dixmude, Du Plessis de Grénédan, venne ritrovato cinque giorni dopo impigliato tra le reti dei pescatori con al polso un orologio con le lancette ferme alle 2:27. Padre Arena fu il primo a riconoscere il corpo del comandante, successivamente grazie ai rapporti di amicizia che lo stesso parroco aveva instaurato con le autorità francesi e con le famiglie delle vittime, venne eretta una colonna votiva che ancora oggi si trova nel viale delle Terme e in cima alla colonna domina il paesaggio la statua della Madonna di Notre Dame de Fourviere.
Grazie a queste gesta di solidarietà Sciacca non venne bombardata dall’aviazione francese durante il secondo conflitto mondiale.
In fuga da Creta e dopo aver perso il proprio figlio Icaro, Dedalo arrivò con le sue ali di cera in Sicilia e più precisamente atterrò a Sciacca dove venne accolto dal re Cocalo.
Per l’ospitalità offerta, Dedalo progettò per il re un castello sotterraneo nei cuniculi e nelle grotte dell’attuale Monte Cronio.
Quando Minosse, assetato di vendetta nei confronti di Dedalo, giunse qui, venne accolto da Cocalo nel suo castello sotterraneo dove vi erano dei bagni stupendi progettati da Dedalo e mentre Minosse, si rilassava, servito dalle figlie di Cocalo, queste lo affogarono nell’acqua calda.
Cocalo restituì il corpo ai Cretesi, dicendo loro che era stato un incidente e che Minosse era morto scivolando.
Sapete perché ogni gioiello in corallo è una meravigliosa dichiarazione d’amore?
Viveva a Sciacca un pescatore, Alberto Maniscalco, soprannominato Bettu Ammareddu, innamorato della sua Tina, una ragazza splendida che un giorno regalò al suo amato una catenina quale pegno del loro amore.
Bettu la indossava sempre durante le battute di pesca. Un giorno mentre era al largo nelle coste di Sciacca, intento nelle operazioni di pesca quella medaglietta, a cui teneva moltissimo, cadde in acqua. Senza alcuna esitazione il nostro pescatore si tuffò alla ricerca della gelosa medaglietta, ma giunto quasi sui fondali si accorse dei rami che coloravano il mare di rosa.
Strappò uno di quei rami e risalì. Scoprì il nostro corallo.
Consegnò alla città di Sciacca e alla sua Tina un prezioso tesoro.
La storia si svolge al porto, dove si trova uno scoglio immenso che prende il nome proprio dal personaggio di cui vi racconteremo.
Viveva a Sciacca un’eremita di nome Elmo, il quale viveva mendicando per riuscire a procurarsi il cibo. Morì il fratello che lasciò in consegna ad Elmo due orfanelle.
Si trovò in grande difficoltà, perche adesso doveva sfamare altre due bocche.
Elmo si mise a pregare talmente tanto che la sua voce riuscì ad arrivare alle orecchie del Signore il quale mandò in suo aiuto un gigante, San Cristoforo, il quale consegnò al povero eremita una lanterna accesa. Il Signore gli spiegò: “ Nel buio della notte, illumina il cammino di rientro dei pescatori”.
Così fece e i pescatori in segno di riconoscenza ogni giorno offrivano ad Elmo e alle due nipotine parte del pescato per potersi sfamare. Ancora oggi, i marinai, quando si trovano in difficoltà chiedono aiuto a Sant’Elmo, il santo della lanterna. Qualche pescatore racconta di aver visto un fantasma, con una lanterna in mano luminosa, camminare sull’acqua e sparire dietro lo scoglio.
“L’oleoastro Inveges” o come lo chiamiamo noi “l’agghiastru ri mezzu” è un albero di ulivo, monumentale e secolare.
Chiunque stacchi un ramo o ne raccolga le olive direttamente dall’albero avrà la “mala annata“, ossia un anno caratterizzato da sciagure. I frutti infatti posso essere raccolti, ma solo se già caduti a terra.
Si racconta che nelle notti di luna piena attorno all’abero accadano fatti misteriosi e che sia abitato da folletti e spiriti.
Raccontano anche che una notte nel terreno scoppiò un incendio, tutti gli alberi attorno vennero invasi dalle fiamme e queste si fermarono vicino l’albero creando attorno ad esso un cerchio di fuoco, ma non una sola foglia si incendiò.
Sarà vero? Beh come si dice: ”non ci credo, ma….!”
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